I National sono un po' come l'amico che conosci da una vita e che non vedi da un po' di tempo . Capita un giorno che vi rivedete per strada quasi per caso, vi salutate e poco dopo vi ritrovate a parlare come se nulla fosse cambiato, come se il tempo non fosse mai passato. La musica dei National si libera dal concetto claustrofobico di tempo, lo supera per certi versi.
Da “Alligator” in poi il solco
tracciato dalla band statunitense è stato sempre indirizzato verso
la ricerca di canzoni da istituire nella schiera dei grandi classici
della musica rock contemporanea. Ecco allora che dopo “Boxer” e
“High Violet” era assolutamente normale aspettarci un naturale
proseguio del cammino iniziato qualche album fa. La “non sorpresa”
dell'ascoltatore non va intesa come percezione negativa del lavoro
perchè stiamo parlando di un gruppo che come già detto sfugge alla
normale percezione del tempo e di conseguenza alle regole del tempo
stesso, che costringono la maggior parte degli artisti ad un
necessario “face to face” tra il loro suono e il resto del mondo
che avanza inperterrito. Vedendola sotto questo punto di vista è
impossibile non esaltare l'ennesima prova di straordinaria bravura e
di rinnovata ispirazione di Matt Berninger e soci nello scrivere
canzoni. Semplicemente canzoni.
“Trouble will find me” si avvale
della preziosa collaborazione di un cast di nomi veramente eccelso
del panorama indie odierno (Sufjan Stevens partecipa con delle drum
machine in “Demons”, “Pink Rabbits” e in “I Need My Girl”,
poi ci sono Richard Reed Parry degli Arcade Fire, Sharon Von Etten,
St.Vincent, Doveman e Nona Marie Invie dei Dark Dark Dark) ed è
stato registrato presso il Clubhouse Studio di Rhinebeck,Ny sotto la
produzione del fido Peter Katis con cui collaborano fin dai tempi di
Alligator.
Tredici tracce dove il livello medio
non scende mai sotto la soglia dell'eccellenza. Sia quando le canzoni
accellerano nel ritmo (Graceless) sia quando rallentano, come nella
splendida ballata Pink Rabbits (canzone sui livelli di Fake Empire).
Come non citare la splendida “Sea of Love” o le trame delicate di
“Heavenfaced” e “Hard to find” ma ogni singolo pezzo è degno
di nota.
Gli arrangiamenti sono perfetti e
avvolgano la dolce voce baritona di Matt Berninger che nel corso degli anni si è trasformata in delicata patina che avvolge l'ascolto non andando a ricercare picchi di estremità sonora ma tessendo melodie e testi sfacciatamente intensi (Demons su tutte).
Il più grande pregio dei National sta proprio qua; parlare alle persone in una maniera che è triste e dannatamente attraente nello stesso istante. Si parla di morte ma è come se due grandi amici non si vedessero da tanto tempo e un giorno si trovassero quasi per caso per strada. Scoprirebbero presto che il tempo in realtà non è mai passato e che il tempo stesso è una barriera per le loro vite. Un po' come la musica dei National. Musica che parla di morte per chi la morte l'affronta sorridendo.
Il più grande pregio dei National sta proprio qua; parlare alle persone in una maniera che è triste e dannatamente attraente nello stesso istante. Si parla di morte ma è come se due grandi amici non si vedessero da tanto tempo e un giorno si trovassero quasi per caso per strada. Scoprirebbero presto che il tempo in realtà non è mai passato e che il tempo stesso è una barriera per le loro vite. Un po' come la musica dei National. Musica che parla di morte per chi la morte l'affronta sorridendo.
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